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la capanna dello zio tom


Che bisogno aveva io di quella carta maledetta? Credo davvero di esser stregato! da quel momento, io tremo e sudo tutto! Donde ha tolti egli mai quei capelli? sarebbero forse quelli.....? mali ho abbruciati io stesso! Sarebbe curioso che una ciocca di capelli dovesse rivivere!»

Ah Legrée! quella ciocca di capelli dorati era incantata; ciascun filo aveva in sè una punta di rimorso, di terrore per te, ed una mano più potente della tua se ne serviva per rattenerti dal fare uno strazio peggiore di quell’infelice!

— «Or su — disse Legrée, battendo i piedi e fischiando ai cani — venite qua, qualcuno di voi, vegliate e tenetemi compagnia!» ma i cani non apersero, trasognati, che un occhio, e nuovamonte si addormentarono.

— «Chiamerò Sambo e Quimbo a cantare, a ballare una di quelle loro danze infernali, per cacciar via queste idee spaventevoli» disse Legrée; e preso il cappello, andò alla verenda, e soffiò nel corno con cui soleva, comunemente, chiamare i due ispettori.

Legrée quando era di buon umore, ed avvenìa spesso, chiamava quei due galantuomini nella sala, e dopo averli riscaldati con liquori, si divertiva a farli cantare, ballare, azzuffarsi tra loro, come meglio gli talentava.

Tra l’una e le due ore della mezzanotte, Cassy, tornando da consolare il povero Tom, udì il suono, le strida selvaggie, i canti, li strepiti che si facean nella sala, misti. all’abbaiar dei cani e ad altri segni di confusione generale.

Salì la scala della verenda e guardò nella sala. Legrée e i due satelliti, in uno stato di furiosa ubbriachezza, stavano cantando, strillando, rovesciando le seggiole, e facendosi a vicenda ogni genere di smorfie le più grottesche.

Cassy posò leggermente la sua mano sopra i regoli delle finestre, e li guardò fisa. Il cupo suo sguardo esprimeva un misto di angoscia, di sprezzo e di feroce amarezza. «Sarebbe forse un delitto liberare la terra da un miserabiie come costui?» disse fra se stessa.

Si allontanò rapidamente, e, passando per una porta di dietro, salì la scala e bussò alla porta di Emmelina.