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libro quinto 273

297In terra e in mar le spaventose belve,
Che son tanto a l’uman genere infeste?
A che i suoi morbi ogni stagion ne adduce?
300Perchè in giro sen va la morte acerba?
Ed il fanciullo poi, come nocchiero
Rigettato da crude onde sul lido,
303Nudo, senza parole, affatto privo
D’ogni vital soccorso a terra giace,
Tosto che la Natura a stento il trae
306Dal materno doglioso alvo a le rive
Luminose del giorno, e tutto il loco
Di lugubri vagiti empie, siccome
309Ben si addice a colui, che in tanti affanni
Trascorrer dee la rimanente vita.
Ma crescono per contro i varj greggi
312E gli armenti e le fiere, e non han d’uopo
Di trastulli e di dolci parolette,
Che smozzichi per lor gestrosamente
315La mammosa nutrice, o di diverse
Vesti al mutar de le stagioni acconce,
Nè infin d’armi e di mura alte a custodia
318Di lor sostanze, quando tutto a tutti
Offre la stessa terra, e largamente
La dedalea Natura a lor produce.]
     321Or, già che il corpo de la terra e l’acqua
E de l’aria il leggero alito e il foco,
Di cui quest’universo appar composto,

18 — Rapisardi: Lucrezio.