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libro quarto 207

288Di salato sapor ci viene in bocca;
E, se mescer vediam disciolti assenzj,
Ne sentiam l’amarume. A tal da tutto
291Alcune qualità fluïscon sempre,
Che diffondonsi intorno in ogni parte;
Nè a sì fatto emanare o indugio o posa
294Vien concessa giammai, quando di tutto
Noi senso abbiam costantemente, e ognora
[M.]Vedere, udire ed odorar ci è dato.
     297Già ch’oltre a ciò si riconosce un corpo
Brancicato nel bujo esser quel desso,
Che vedi al lume e a lo splendor del giorno,
300Da consimil cagione è ben mestieri,
Che suscitati sian la vista e il tatto.
Or, se un quadrato noi tocchiam, s’ei move
303Ne le tenebre il senso, e qual mai dunque
Ne la luce potrà quadrato obietto,
Fuor che l’immagin sua, venirne in vista?
306Ne le immagini dunque è la cagione
Del veder posta; nè mai cosa alcuna
Potrà, senza di loro, esser veduta.
309Or questi simulacri, onde ragiono,
Portansi ovunque e vibransi dispersi
Per ogni banda; e poi che sol con gli occhi
312Percepir li possiam, quindi succede,
Che ovunque il guardo noi volgiam, là tutti
Ci s’incontrano i corpi, e ci feriscono