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libro terzo 187

Tizio laggiù de l’Acheronte in riva,
Nè, ognor scavando entro quel petto immane,
1275Trovar potríano in lui cibo perenne;
Chè, sia quanto più vuoi vasto il suo corpo,
Non da ingombrar con le distese membra
1278Iugeri nove, ma la terra intera,
Sostener sempre non potría tal pena,
Nè offrir del corpo suo perpetuo cibo.
1281Tizio è qui, dentro a noi, quando l’amore,
Come vorace augel, ne strazia il petto,
Quando una dolorosa ansia il divora,
1284Od altra passïon lo morde e sbrana.
E ne la vita ancor, sotto a’ nostri occhi
È Sisifo in colui, che le tremende
1287Scuri e i fasci ansïoso al popol chiede,
E sconfitto e dolente ognor ne torna.
Poichè chiedere invan sempre un potere,
1290Che non t’è dato d’afferrar giammai,
E per esso durar pene e travagli,
È come per l’avversa erta d’un monte
1293Spinger con ogni forza un sasso enorme,
Che giù dal sommo vertice di nuovo
Rotolon cade, e ratto al pian precipita.
1296Il pascer poi di ben l’animo ingrato,
Empirlo sempre e non saziarlo mai,
E, ben che varie co ’l mutar de l’anno
1299Ci rechi ogni stagion delizie e frutta,