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tura ha già fatte d’oro e di seta, andrà convertita in pane a saziar la fame d’una mezza dozzina d’angioletti, e si avvolgerà, tramutata in tepida lana, attorno ai loro nudi e tremanti corpicini. Non la trovate voi assai meglio impiegata?

A redimere la donna dalla tirannide di questo ingiusto costume, non v’ha che l’associazione organizzata su larga scala. Vuolsi perciò tentare ogni mezzo a persuadere alla donna del popolo, che l’associazione è moltiplicazione indefinita di potenza, ma che, ad esser feconda in risultati, non deve arrestarsi ad un mutuo soccorso, ma devono le contribuzioni delle associate costituire un fondo da convertirsi in materia prima.

Questa, lavorata poi dalle associate colla massima perfezione, sarebbe esposta alla vendita con prezzi più rilevati dei comuni.

Ciascun membro sarebbe retribuito dalla società secondo il suo lavoro, e dedotte le spese d’acquisto della materia prima, si procederebbe ad epoche periodiche ad un’equa distribuzione degli utili.

E però necessario, che l’associazione si estenda siffattamente in ogni città e provincia che sia impossibile al compratore il provvedersi quei dati generi altrove che nel magazzino della società.

Senza di ciò l’emancipazione industriale della donna operaia resta affatto raccomandata al sentimento d’equità e di giustizia dell’uomo, e che cosa sia in diritto d’aspettarsene ella già sa, volgendo uno sguardo sulla condizione sua in tutti i secoli.





Oltre la miseria ed il bisogno, altre e peggiori conseguenze porta con sè la privazione del diritto industriale nella donna, e queste conseguenze si estendono all’uomo, ed infestano di orride piaghe tutte le generazioni.