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questo caso la moglie ha il dominio non solo, ma anche l’amministrazione de’ suoi beni parafernali, uniformandosi, in quanto all’esercizio dei suoi diritti, alle restrizioni citate più sopra, che la riducono all’impotenza d’ogni atto legale senza consenso esplicitamente prestato dal marito, od in caso di suo rifiuto, dal tribunale.

Come ognun vede, la donna in qualunque regime coniugale, è schiava o minore.

Per avere un diritto materno, ella non dovrebbe esser madre che di prole illegale, e per avere il reale possesso di sè stessa e delle cose sue, mai non dovrebbe piegare il collo al giogo del matrimonio; e così facendo ella non farebbe che ridurre a pratica le immorali lezioni, che le dà il codice con tanta eloquenza; donde poi la corrutela massima dei costumi; la origine incerta delle famiglie; la moltiplicazione allo infinito degli orfani e degli esposti, non potendo la donna, priva del diritto industriale, bastare all’alimentazione di numerosa prole; e ci darebbe così, delle generazioni degenerate dal punto di vista fisico, depravate, dal punto di vista morale, miserabili, dal punto di vista economico, e dal punto di veduta politico, terribile ed eterna minaccia all’organismo sociale.

Se le cose, la Dio mercè, non sono ancora a questo punto (benchè i grandi centri già mostrino prepotenti gli elementi, che vi ci debbono condurre più o meno presto, se non si pensa al riparo), gli è perchè, e unicamente perchè, l’umanità, migliore assai delle demoralizzatrici legislazioni che la reggono, nell’intima vita delle famiglie non applica e non osserva le leggi. Egli è perchè generalmente la donna, più morale assai che non la vorrebbero i codici, preferisce incatenare sè stessa e le sue sostanze, e piegare il collo sotto il giogo che vede e sente iniquo