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patria, persuase la sua giovine figlia a sposar Leandro fratello del tiranno e ad eccitarlo con ogni arte a voler tentare la libertà di Cirene. Leandro così pregato dalla sposa, uccise il fratello; ma non però fu libera Cirene, ch’egli molto ben succedè a Nicotrate nel dispotismo e nella ferocia. Aretafila cominciò allora a tendere insidie a Leandro e chiamò Anabo capitano della Libia coll’esercito suo sopra Cirene, e presi con lui segreti accordi, persuase Leandro a venir con Anabo a parlamento. Egli vi andò, ed Anabo circondatolo nella sua tenda lo consegnò ai Cirenaici che, messolo in un sacco, lo gittarono nel mare. Cirene liberata, pregò Aretafila di accettare le redini del governo, ma la generosa donna, che la patria aveva amata sempre più di sè stessa, consigliò la repubblica a voler volgere ella stessa a meglio le cose sue e si ritirò a menar vita privata.

Epicaride, semplice schiava, aveva con tutto il fiore della nobiltà romana congiurato contro Nerone. Scopertasi la cospirazione, arrestati a cento a cento i congiurati e sottoposti alle torture, confessano e scoprono i fili della congiura. Epicaride sola, resiste ad otto giorni consecutivi di torture, e vinta alfine dalla violenza del fuoco, si taglia la lingua coi denti e la sputa innanzi all’imperatore onde porsi nella impossibilità di svelare.

Arria, moglie a Cecina Peto personaggio consolare, difendeva sè stessa ed il consorte davanti all’imperatore Claudio, accusati essendo siccome complici nella congiura di Scriboniano contro di lui. Avendo l’imperatore intimato a Peto di uccidersi, e vedendo Arria che la destra gli tremava, sicchè non sapeva decidersi a vibrare il colpo, le strappò di mano il pugnale se lo piantò nel petto, eppoi lo porse allo sposo dicendogli, «prendi che non fa male» e spirò.