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può difendersi che l’uomo depravato, la forza del giusto e del buono, la maestà della virtù e del sapere che costringe ad inchinarsi la cervice la più orgogliosamente satanica, il culto sciente o spontaneo che molti uomini, la Dio grazie, porgono al vero merito, tutto, dico, come rende la donna gloriosamente atta al fine cui è missionata, la circonda eziandio d’un aureola luminosa che la difende dalla viril prepotenza, che intimida l’uomo, che attutisce nel suo braccio la petulanza ingenerata dalla forza del muscolo e sostituisce in lui a quella ignobile sensazione, che gliela faceva contemplare siccome semplice oggetto e spettacolo di voluttà (che è la suprema delle umiliazioni alla donna dagli istinti generosi) quella deferenza, quell’attaccamento e quella riverenza, che l’armonico e sublime accordo del bello e del grande, della virtù e del sapere, della nobile verecondia e della generosa abnegazione, debbono ingenerare in ogni essere morale.

Dal fin qui detto potrebbe per avventura qualche mia lettrice ricavare, ch’io creda avere il matrimonio per solo scopo la propagazione e la conservazione della specie, nè potersi egli in mia mente disposare eziandio a più nobile fine.

Diversi fra i moderni scrittori hanno considerato l’uomo e la donna non già come unità, ma quali esseri che aspettano dall’unione loro il complemento della loro personalità. Se in faccia agli interessi della specie ciò è assolutamente vero, non lo posso egualmente ammettere nel campo morale, vedendo ognun dei due autonomicamente, nel pieno possesso delle facoltà dello spirito, attivo e produttore.

Mentre invece nel matrimonio per fatto delle istituzioni nostre la donna, abbandonata affatto all’arbitrio del consorte, ben lungi dal completarsi, si evira, ben lungi dall’acquistare, perde,