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silenzio, alla cessazione dei desideri, e si «consegue» il proprio fine. Il Buddismo non è una religione in cui si tende unicamente alla perfezione; la perfezione è il caso normale.

Nel cristianesimo, gli istinti dei sottomessi e degli oppressi si pongono in prima linea: le classi più basse sono quelle che cercano in esso la loro salvezza. In questo si esercita, come «occupazione», come rimedio contro la noia, la casistica del peccato, la critica di sè, l’inquisizione della coscienza: in quello si tiene accesso sempre (con la preghiera) l’affetto verso un «potente», chiamato «io», ed il più elevato si considera come inaccessibile, come premio, come «grazia». Manca tuttavia la pubblicità; gli antri, i luoghi bui sono cristiani. In quello si disprezza il corpo, l'igiene è ripudiata come una sensualità; la Chiesa si guarda perfino dalla nettezza (la prima misura cristiana dopo l’espulsione degli arabi, fu la chiusura dei bagni pubblici di cui solo Cordova ne possedeva 270); è cristiano un certo istinto di crudeltà verso di sè e verso gli altri; è cristiano l’odio per quelli che la pensano in altro modo; è cristiana la mania di perseguitare. Idee tetre ed emozionanti «occupano» il primo posto: gli stati d'animo più ricercati, quelli che si designano con i nomi più eletti, sono epilettoidi; la dietetica è stabilita in modo che favorisca i fenomeni morbosi e sovrecciti i nervi. È cristiano l’odio a morte per i signori della terra, per i «nobili», e nello stesso tempo una sorda ed occulta concorrenza (si lascia loro il «corpo», si vuole solo l’«anima»...) È cristiano l’odio contro lo «spirito», l’orgoglio, il coraggio, la libertà, il «libertinaggio» dello spirito; è cristiano l'odio contro i «sensi», contro il tripudio dei sensi, contro la gioia in generale...


XXII.


Il cristianesimo, quando lasciò il suo primo terreno, le classi inferiori, il «sottosuolo» del mondo antico, quando cercò il potere tra i popoli barbari, non aveva davanti a sè, come prima condizione, uomini «stanchi», ma uomini abbruttiti interiormente che si distruggevano gli una gli altri; l’umo forte, ma nell’istesso tempo atrofizzato. Il malcontento di sè, il dolore intimo, non sono qui, come tra i buddisti, l’iperestesia e l’eccessiva facoltà di soffrire,