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     85Quanto appunt’un trar d’arco,
     Discoprono spazioso
     Alle tempeste chiuso
     Sicurissimo porto.
Pronti v’entrâr; gittaro
     90L’ancore, e dalla nave
     Le vittime, le sacre
     Sacerdotali vesti,
     I vasi d’or, gli aromi,
     Di Cerere e di Bacco
     95I doni che richiede
     L’espiatorio rito,
     Al lido trasportaro.
     E mentre rivestirono
     Gli abiti lor festivi,
     100E l’ecatombe scelta
     Ornaro di be’ nastri;
     L’esplorator, da loro
     Mandato alla scoperta,
     Tornò narrando come
     105Via trovasse fra sassi
     Per arrivar de’ lauri
     Al mistico recinto.
A così fausto annunzio
     Colla speranza in core,
     110Senza frappor dimora
     S’incamminò ciascuno,
     Qual recando dell’are
     I sacri vasi, e quali
     Guidando pecorelle
     115Di nastri e fiori ornate.
     Seguirono un angusto
     Sentiero fra dirupi,
     E dopo molti giri
     Pervennero al ricinto
     120Degli alti e folti allori.
All’improvviso s’apre
     Un ampio mezzo-cerchio
     Di splendida verzura
     Di mille fiori pinta.
     125Circonda quel ricinto
     Un florido mirteto.
Nel fondo di que’ mirti,
     E da selvaggia rupe,
     Un limpido ruscello
     130Rapidamente corre.
     Copre la rupe in parte,
     E tutta la sorgente
     L’ombra distesa e bruna
     Di gigantesca quercia.
     135Pende dell’alta pianta
     A un ramuscel, d’Orfeo
     L’armonïosa lira.
Alto grido di gioja
     Il fausto evento annunzia!
     140Avidamente gli occhi
     Pascendo di tal vista,
     Un’ara di cespugli
     Alzar divotamente
     E con man rispettosa
     145L’ornar di seta e d’oro.
     Disposti poi d’intorno
     All’ara sette agnelli
     Nerissimi, lanuti
     E senza macchia alcuna:
     150Incominciar piangendo
     L’inno agli inferni Dei
     Per mitigar lor sdegno,
     Che con orrende pene
     Punisce l’omicida.
     155E tosto che la terra
     S’ebbe asciugato il sangue
     Degl’innocenti agnelli;
     Dall’alta quercia s’ode
     Il suono non ignoto
     160Della lira d’Orfeo,
     Che con sublimi accenti
     Preludio fa all’antico
     Impareggiabil inno,
     Con che quel sacro vate
     165Ne’ tempj, non ha guari,
     Al ciel chiedea perdono
     Pe’ miseri mortali.
Ed ecco che dall’acque