Pagina:Kirchberger - Teoria della relatività, 1923.djvu/44


LA RELATIVITÀ DELLO SPAZIO 41

movimento stesso non è concepibile. Il primo modo di misurazione è una semplice questione di geometria, il secondo ne sorpassa sostanzialmente il campo.

Abbiamo dunque due specie di misure. È ben sicuro, domanda Einstein, che con questi due metodi di lavoro, essenzialmente differenti, si trovi lo stesso risultato in tutte le circostanze? Che cosa c’insegna l’esperienza? A tutta prima che il secondo metodo non è per cosí dire mai usato. Se vogliamo misurare la lunghezza di un treno, noi lo facciamo fermare o ci collochiamo sul suo predellino, in altre parole, cerchiamo in una maniera qualsiasi di sopprimere ogni movimento relativo o di collocarci nel suo sistema. Nello stesso modo un carrettiere che vuol misurare il timone di una vettura in moto, si mette alla sua altezza ed opera continuando a camminare. Ma possiamo essere obbligati, trovandoci in un sistema, a misurare una lunghezza di un altro sistema, o a rappresentarcene la misura, e allora il solo metodo possibile è quello che abbiamo or ora indicato.

Checché ne sia ci è necessario confessare che in pratica non si fanno misure della seconda specie. E anche se ne facessimo o ne tentassimo qualcuna, che cosa ne potremmo attendere? Noi sappiamo che tutte le velocità a noi accessibili, anche quella stessa della terra, in confronto a quella della luce, che qui in prima linea c’interessa, sono straordinariamente lente. Esse, tutte indistintamente, hanno delle andature da lumaca. I risultati di esperienze su questi movimenti par-