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Vorrei che fosser molti i pazzi di così gentile follìa; molte le anime pure ed illuminate del raggio divino rifrangentesi nella sua, almeno tutte voi, signorine. E allora una fresca falange di leggiadre guerriere dalla verga fiorita metterebbe in fuga il tenebroso esercito dei malcontenti, dei pedanti, degli scettici dell’ingegno femminile. E flagellandoli con le verghe odorose, e soverchiandoli con un affollamento di visi giocondi, chiedereste loro con le vostre voci argentine, assordanti, prepotenti, spietate, cosa sarebbe la primavera se nell’aria non fluttuassero farfalle e petali e profumi, e se accanto ai pomposi non sbocciassero i fragili fiori?

II.

(Ettore Sanfelice: Gru migranti).

Ho chiuso un volumetto di versi, non dei soliti. Del resto c’era da prevederlo. Ettore Sanfelice non è un ignoto nell’animosa schiera dei giovani bardi di questo scorcio di secolo. Di lui abbiamo, oltre varii scritti minori, due raccolte di Rime edite dallo Zanichelli, qualche scena lirica di soggetto biblico, e un dramma poetico: «Concordio», nel quale la vigorìa del concetto è rivestita radiosamente di versi sciolti d’una bellezza e d’un’efficacia non comune. Egli ha salpato con la sua navicella carica di tesori ed ora veleggia forte delle sue dovizie alla conquista dei paesi della gloria1

  1. Questo scritto apparve la prima volta nel «Bios» di Napoli (Ottobre 1891). Il Sanfelice ha pubblicato ancora: Il GuercinoErcole — discorsi (Bologna, Azzoguidi 1991). — I Cenci, trag. di P. B. Shelley — Traduzione (Verona, Tede-