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nazionale gli inni del Mameli e le poesie del Berchet. I tempi sono mutati e le abitudini. Ora lo Zola col suo epico poema in prosa potrebbe essere senza saperlo, magari senza volerlo, il bardo della pace.

Poichè è impossibile di scorrere quelle pagine con indifferenza. Zola ha visitato e studiato palmo per palmo il teatro della guerra: l’illusione della realtà è quindi perfetta. Si vive negli orrori, nelle ambascie, nei carnai, nell’abbrutimento della specie umana e questo dà sopratutto la tristezza infinita dei mali che gli uomini potrebbero e non vogliono evitare; dà l’avvilimento d’una degradazione cercata, la vergogna d’un affratellamento con le razze primitive e bestiali per cui pensiero è una parola vana. È un’angoscia inesprimibile che opprime riflettendo che solamente vent’anni ci separano da quelle barbarie, da quel flagello i cui episodi sono degni di far riscontro alle scene del Terrore... È una lettura che spossa quasi materialmente per il continuo fremito d’orrore e di pietà che sospende la vita; per il coraggio vero di cui bisogna disporre per vincere la ripugnanza e la tentazione di chiudere il libro e scappar via, via nel verde, nella serenità, accanto a qualche bell’opera feconda e pacifica per dimenticare... Certi episodi non si possono leggere due volte: quello del bambino febbricitante e assetato che rimane arso nell’incendio di gioia; quello del prussiano scannato su una tavola come una bestia da macello, episodio feroce in cui par che lo Zola stesso voglia infine concedere uno sfogo a una punta inevitabile di rancore costantemente e ammirabilmente domo dalla perfetta imparzialità. Tutta l’immoralità della guerra può essere sintetizzata, in