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all’altra, al sole levante, nella solitudine fredda ancora, dinanzi alla pianura che «si apriva come un deserto.» Una pagina per sobrietà, per colorito, per naturalezza non indegna dei nostri ultimi immortali del Grossi o del Manzoni.

La giornata di Andrea è più importante come svolgimento; è un vero racconto, ben proporzionato, questo, fortemente concepito ma un po’ nebulosamente tradotto. Mi pare che la Gianelli abbia inteso di dipingere la giornata della caduta, della fine di un ingegno, ma le intenzioni dell’autrice attraverso il cervello bizzarro e guasto del protagonista restano un poco nell’ombra. Pure, appunto per il suo carattere eminentemente oggettivo che dà molto rilievo alla figura di Andrea e molta verità alle altre, che accenna con garbo un gracile episodio d’amore, La giornata di Andrea rimane un quadro dipinto alla brava, un quadro d’impressioni vive ed ardite.

Ma la più bella pagina del libro, secondo il mio gusto e il mio parere, è Settembre. C’è tutto; delicatezza, poesia, acutezza, pensiero. Mi pare Bourget, l’inarrivabile. È un’idealità raggiunta, un’illusione fermata con uno spillo d’oro. Qui bisogna proprio rileggere e tacere...

«Lasciatemi sbizzarrire, diceva lo spirito del poeta, lasciatemi piangere la melanconia sottile delle cose belle che passano, quella profonda delle cose tristi che arrivano.

«.... Vedete il settembre, il bel settembre dal verde intatto, dagli alberi onusti, dal cielo di cobalto e il sol d’oro che non brucia più, dai tramonti magnifici, dalla luna stupefacente, a cui il detto popolare vuole che sette lune si inchinino. È la bellezza il settembre, la bellezza perfetta nel-