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azione non avea mai voluto dar nome di ribellione, «ma detto che volea fare repubblica la Calabria per mezzo delle armi e delle prediche, quando però seguissero i garbugli d’Italia, che lui si era presupposto». E in fatti, se macchinò, non dovea mirare a sovvertimento, bensì a organare il paese al modo della sua Città del Sole, ricongiungendo la legge di natura colla cristiana.

Chiuso in castel Sant’Elmo «dentro a una fossa oscura, ventitre gradi sotterra, sempre alla puzza, oscuro e acqua, e quando pioveva s’empia d’acqua e mai entrava luce; inferrato sopra uno stramazzo bagnato con appena mezzo reale di vitto», senza libri, senza comunicazione, scrisse varie opere, lodate perchè d’un martire, come l’intitolarono, ma dove la vanità è pari all’immensa inopportunità. Per riguardo al re lodava la Spagna: per riguardo al papa protestava della sua ortodossia; prometteva, se lo lasciasser libero, comporre libri che convertirebbero i Gentili delle Indie, i Luterani, gli Ebrei, i Maomettani: e in prova dice aver fatto un’esposizione del capo Vili dell’Epistola ai Romani, della quale moltissimo si giovano Calvinisti e Luterani.

Lettere sue ultimamente pubblicate, se nulla aggiungono alla cognizione del suo intelletto, attestano un esaltamento che tocca alla pazzia, se non vogliasi perdonarlo alla sua smania di liberazione, stando «dentro una fossa puzzolente dove non vedo giorno, sempre inferrato e morto di fame e di mille afflizioni fra cinquanta leopardi che mi guardano.... Son accusato per ribello ed eretico, per lo che otto anni cominciano che sto sepolto.... Sono stato preso io e molti frati per ribello, quasi volessimo ribellar il regno a favor del papa, in tempo che molti officiali e baroni del regno erano scomunicati e perseverano, e la città di Nicastro interdetta, e in tutte queste cose io mi trovai, e fu gridato in seminario Viva il papa dal clero,, che armata mano liberò un chierico dalle carceri secolari. Furo necessitati gli amici di dire che ribellavano per far eresie, e non per il papa: altrimenti morivano tutti de facto inconsulto pontifice».

Così scrive al cardinal Farnese1, e proseguendo, dà in delirj astrologici, promette mari e monti a migliorar il regno di Napoli, fabbricare al re una città mirabile, salubre, inespugnabile, che sol mirandola s’imparino tutte le scienze storicamente; far vascelli che senza remi navighino anche tacendo il vento, quando gli altri stanno

  1. Archivio storico del 1856.