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208 illustri italiani


Gli esuberanti amici del Monti, de’ quali fu detto che aveano due anime, una per conoscere il bene, l’altra per far il male, balestrarono quella traduzione, principalmente nella Biblioteca Italiana, nome che si troverà fra gli aggressori di tutti i migliori contemporanei: e come gli amici di Corneille deprimevano Racine, così costoro oltraggiavano il Pindemonte, come chiunque potesse gettar un’ombra, sul pianeta allora all’apogeo.

Realmente il Pindemonte è troppo lontano dalla splendidezza del Monti e da quell’atticismo, imprestato eppur così bene assimilato. Entrambi innamorati di Virgilio, entrambi accusati di troppo pizzicare la corda medesima; il Monti nelle poesie giovanili parve inferiore al Pindemonte, quanto gli trasvolò in quelle di sua maturità: tutta fantastico il Monti, tutto melanconico l’altro1.

                              D’onde siede
Tra la selva che a lei corre d’intorno2
La gran città che dell’Insubria è capo,
E or tanta di saver luce diffonde,

e propriamente dal Conciliatore venne accusato d’avere scritto, in un sermone, che la felicità de’ popoli dipende non tanto dalle forme di Governo, quanto dalla virtù personale. Egli se ne difese; non aver detto sia indifferente il Governo alla francese o alla turca, ma «che ognuno è del suo bene il primo fabbro», e che un buon reggimento può giovare al bene, ma non crearlo. E pensava giusto.

Se il Monti fu banderuola, come direbbe il popolo, od objettivo, come direbbero i filosofi, Ippolito non credette mai al Cesarotti

  1. Il Torti, paragonando i due Sepolcri, canta:

         Di costui ne tragge
    Irresistibil forza in quel profondo
    Di sua mesta dolcezza: a tal virtude
    Il ciel formò quest’animo gentile
    Sovra qual altra or ha sua stanza in terra.

  2. Anche il Manzoni disse che Milano «di selva coronate attolle le favolose mura»: eppure selve non c’è attorno ad essa, se non vogliasi intendere la alberata via di circonvallazione. Il Pindemonte, venuto dopo 18 anni a Milano nel 1820, diceva: — Ho ammirato l’Arco, l’Arena, le pitture dell’Appiani; nondimeno lasciato le avrei tutto ciò per alcune centinaja de’ tanti suoi alberi, che volentieri avrei trasportati e piantati a Verona».