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come alcuno fantastica, egli fosse andato ripescandole da questo o quel dialetto, avrebbe formato una mescolanza assurda, pedantesca, senza l’alito popolare che solo può infonder vita. Forse le prose e i versi de’ suoi contemporanei, quanto a parole, differiscono da’ suoi? Nato toscano, non ebbe mestieri che di adoperare l’idioma materno; e le voci d’altri dialetti che per comodo di verso pose qua e là, sono in minor numero che non le latine o provenzali, a cui non per questo pretese conferire la cittadinanza.

Irato però alla sua patria, volle predicar teoriche in perfetto contrasto colla propria pratica; e nel libro Del vulgare eloquio (dettato in latino per una nuova contradizione), dopo aver ragionato dell’origine del parlare1, della divisione dagli idiomi e di quelli usciti dal romano che sono la lingua d’oc, la lingua d’oui e la lingua di , riconosce in quest’ultima quattordici dialetti, simili a piante selvaggie, da cui bisogna diboscare la patria. E prima svelle il romagnuolo, lo spoletino, l’anconitano, indi il ferrarese, il veneto, il bergamasco, il genovese, il lombardo, e gli altri traspadani irsuti ed ispidi, e i crudeli accenti degli Istrioti; dice «il vulgare de’ Romani, o, per dir meglio, il suo tristo parlare, essere il più brutto di tutti i vulgari italiani, e non è meraviglia, sendo ne’ costumi o nelle deformità degli abiti loro sopra tutti puzzolenti»; dice che Ferrara, Modena, Reggio, Parma,

    giacchè per essa dice vermo, Giuseppo, gli idolatre, allore, tarde, eresiarche, figliuole per figliuolo, egli stessi, mee, trei, si partine, plaja, strupo, maggi, robbi e fusi e cola e agosta per stupro, maggiori, rossori, fussi, cole, augusta; ha liberamente finito un verso con Oh buon principio, e ai due corrispondenti pone scipio e concipio storpiando questi anzichè modificar quello; e per comodo o di rima o di verso mette nacqui sub Julio, e lome, e fazza, e Cristo abate del collegio, e conti i santi, e cive di Roma, ecc. Sarà sempre pedanteria suprema il volere che ne’ sommi si ammiri ogni cosa.

  1. Crede la prima lingua creata coll’uomo, ed essere stata l’ebraica. Al contrario nel Paradiso l’avea creduta d’origine naturale, e che fosse perita. Egli sosteneva che al primo uomo fosser rivelate tutte le scienze:

                   Tu credi che nel petto, onde la costa
                        Si trasse per formar la bella guancia,
                        Il cui palato tanto al mondo costa,
                   Qualunque alla natura umana lece
                        Aver di lume, lutto fosse infuso.
                                                                          Pd. XIII.

CantùIllustri Italiani, vol. I. 4