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renata duchessa di ferrara 633

che sono rimpetto alla facciata del duomo, con sole due damigelle. Calvino mandava conforti alla Renata e messaggi per mezzo di Lyon Jamet secretario di essa, e — Giacchè piacque al signor Iddio, nell’infinita sua misericordia, visitarvi colla temenza del suo nome e illuminarvi nella verità del suo santo Vangelo, riconoscete la vocazione vostra; giacchè esso ci trasse dagli abissi delle tenebre ove eramo cattivi, affinchè seguiamo direttamente la luce sua senza declinare». Fu tal volta che egli la credette caduta, e a Farel scriveva: De ducissa Ferrariensi tristis nuncius et certior quam vellem: minis et probis victam cecidisse. Quid dicam nisi rarum in proceribus esse constantiæ exemplum? Ma s’ingannava: perocchè anzi il duca denunziava al re di Francia la pertinacia della moglie.

Allora veramente Marot poteva cantar della Renata: — Ella non vede persona di cui non abbia a dolersi: le montagne stanno fra essa e gli amici suoi: essa mescola di lacrime il suo vino». Stanca di rimanere disgiunta dai figliuoli, ella fece una specie di ritrattazione (1556) in mano del gesuita Pellettario, e si confessò e comunicò dicendo credere nella Chiesa cattolica, ma senza voler aggiungervi romana. Il marito se n’appagò senza star sul sottile, e le rese le figliuole e il palazzo di San Francesco, e morendo nel 1560, lasciolla usufruttuaria d’esso palazzo e di metà della tenuta di Belriguardo, finchè vivrà da buona cattolica. Il figlio Alfonso accorso, dopo la solenne entrata il 19 maggio 1560, andò a prestar l’omaggio al papa, di cui era vassallo, e che con lui si rammaricò della duchessa che ostinavasi nelle eresie; onde il figlio le intimò di lasciarle o d’andarsene.

In fatti con trecento persone ella partì, e pose Corte nel castello di Montargis, facendo solenne professione di calvinismo, ricoverandovi i perseguitati, e mantenendo carteggio con Calvino. Questi la querelò alcuna volta del non vederla ben risoluta ad abbandonare i santi e certe pratiche: ma le scriveva: — Voi foste come una madre nutrice de’ poveri fedeli discacciati che non sapeano ove ritirarsi. So bene che una principessa, la quale non guardasse che il mondo, avrebbe onta, e quasi prenderebbe a ingiuria che il suo castello si chiamasse un Ospizio di Dio (Hôtel-Dieu), ma io non saprei farvi onor maggiore che chiamarlo così, per lodare e riconoscere l’umanità che voi avete usata verso i figliuoli di Dio a voi rifuggenti1.

  1. Lettera del 10 maggio 1563. Nella biblioteca di Modena si conserva un bel codicetto di preghiere della Renata, ov’essa è rappresentata tutta vestita d’oro e