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Persuaso non potersi corregger il mondo se non correggendo la Chiesa che n’era l’anima, Ildebrando, vigile, attivo, indomito, sempre fondandosi sulla vetusta tradizione e sul voto del popolo, vi si applicò quando fu preso a consigliere dai pontefici. Le nefandigie, fra cui era corso il papato, lo convinceano che ogni male venisse dal restare la suprema dignità commessa all’elezione interessata e corrotta de’ secolari: ma poichè non si poteva di tratto abolire la pretensione degl’imperatori, cominciò a sanare le nomine regie col sottometterle alla rielezione del clero e del popolo. A questo intento consigliò a Brunone, eletto papa (1049), entrasse in Roma da pellegrino, e quivi chiedesse il suffragio di chi solo avea diritto di darlo. Brunone, che fu Leon IX, il fece, ed annunziò il divisamento di deporre i vescovi che avessero acquistato la dignità a prezzo; ma trovò il male così esteso, che fu costretto rallentar quel rigore, imponendo solo quaranta giorni di penitenza ai convinti.

Lui morto, Enrico III nominò il monaco Gebardo suo consigliere, persona specchiata, che assunto il nome di Vittore II (1053), per sè e coll’opera d’Ildebrando procacciò a riformare la disciplina. Dopo di lui, una fazione, sazia di tanti papi tedeschi, portò al seggio Stefano IX (1057), che fu zelantissimo della disciplina, e che, morendo dopo soli otto mesi, pregò non si eleggesse il successore fin quando di Germania non tornasse Ildebrando. Però Gregorio conte di Tusculo, armata mano, fe proclamare l’inetto Giovanni vescovo di Velletri, col nome di Benedetto X. Ildebrando, conoscendo che il papa d’una fazione varrebbe ancor peggio che il papa d’un imperatore, si unì ai grandi, a Pier Damiani e ad altri cardinali, pregando dalla imperatrice Agnese un altro pontefice, il quale fu Gerardo di Borgogna vescovo di Firenze. Ildebrando, che ne recò l’annunzio, ebbe cura fosse rieletto in un sinodo a Siena, ove prese il nome di Nicola II (1059); e perchè più non si rinnovassero le elezioni tumultuarie, lo indusse a toglierne il diritto al re ed al popolo, per affidarlo ad un consesso di cardinali vescovi e cardinali cherici1, salvo l’approvazione del clero e l’onore dovuto all’imperatore.

  1. Cardinali vescovi erano quelli d’Ostia, Porto e Santa Rufina, Alba, Sabina, Tusculo e Preneste, vicarj del papa qual patriarca di San Giovanni Laterano. Cardinali cherici erano i parroci dipendenti da quattro altre chiese patriarcali di Roma. Agli istituti di carità presedevano cardinali diaconi.