Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/439


torquato tasso 415

a Torino; da per tutto ben accolto, sempre andando e non mai giungendo, sempre in dolori e paure; sta per accettare l’invito del granduca, ma pur torna a Ferrara (1579) e continua le stranezze, cui s’aggiungono scrupoli religiosi.

Già all’inquisitore di Bologna il Tasso aveva accusato sè stesso di dubbj intorno all’incarnazione, e quello avealo rimandato col «Va in pace, malato». Gli risorsero que’ dubbj, e il duca gli consigliò di presentarsi al Sant’Uffìzio, che di nuovo l’assicurò o d’innocenza o di perdono; il duca stesso accertollo di non aver nulla contro di lui: ma il Tasso avea trovato quell’assicurazione non essere in forma; non bastante l’esame degl’inquisitori, e smarrivasi in sottigliezze, e dava a rider colle bizzarrie; sicchè la sua ragione parendo assolutamente offuscata, Alfonso lo fece chiudere nell’ospedale di Sant’Anna.

È uno dei temi più divulgati per declamare sulla tirannide dei

    gran soddisfazione a tutti mentre recitava qualche canto del suo celebratissimo Goffredo. Stette più di 15 giorni in casa delli detti scolari; onde faceva che alla detta casa vi fosse un giubileo amplissimo per lo continuo concorso delle genti, che bramavano e di vederlo e di sentirlo. Si ritrovava allora in Padova Sforza Pallavicino, generale di questi Signori, il quale aveva gran desiderio di vedere esso Tasso, e mandò a pregare questi Vicentini, che volessero un giorno condurglielo, poichè, egli, per essere podagroso, non usciva di casa; si contentò il Tasso, e così con li detti quattro suoi ospiti andò a casa del detto signore, il quale subito fece portare anco uno sgabello vicino a lui, invitando il Tasso a voler sedere. Il Tasso con molta riverenza stando in piedi si iscusò di voler sedere; lo Sforza replicò più e più volte, acciò volesse far la grazia di sedere, egli pure iscusandosi che stava bene e non voleva farlo. Finalmente importunandolo pure detto signore con nuove preghiere, egli, fattogli una bella riverenza, si partì, e se ne andò giù per la scala; onde correndogli dietro Paolo pregavalo a voler ritornare, e non voler far questo affronto ad un personaggio così grande. Egli risolutamente gli disse, che non ne voleva far niente; ed interrogato dal Gualdo perchè facesse ciò, li rispose: — Perchè bisogna talvolta a questi tali insegnar creanza»; soggiungendo: — E perchè non far portare da sedere anco a voi altri gentiluomini? Perchè a me solo questa particolarità? Chi siete voi? Non siete per ogni rispetto maggiori di me?» e contuttochè il Gualdo cercasse di placarlo non fu mai possibile che volesse ritornare: sicchè partirono gli altri ancora, restando il signor Sforza tutto confuso, attribuendo ad un umor pazzo del Tasso quello ch’era mala creanza sua. Si suol dire ch’i principi ed uomini grandi non sogliono imparar mai bene esercizio alcuno, se non quello del cavalcare, perchè i cavalli non sanno adularli come fanno gli uomini che insegnano a’ principi, perchè se non saprà cavalcare, il cavallo non averà rispetto gettarlo a terra, e darli anco de’ calci; possiamo dire che l’istesso privilegio con li principi abbiano anco li pazzi».