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pericolo quelli che non erano stati del fatto; impediva di perseguitare o derubare chicchessia, volendo condurre una di quelle rivoluzioni che onorano chi le fa, ma ne diroccano la causa.

Intanto nei patrizj e nei senatori svampava il primo fervore: quei tanti che nell’esistenza hanno bisogno d’una spinta, si lasciavano allettare dagli amici di Cesare, di cui la morte parve espiar i torti e ingrandire i benefizj: tanti veterani, venuti per accompagnar Cesare alla guerra de’ Parti, a pena si rattenevano dal vendicarlo; il popolo ne ricantava le lodi, le nazioni nelle diverse lor lingue lo deploravano, e per molte notti gli Ebrei continuarono a farne lamento1: Virgilio lo pianse nell’egloga di Dafni, Varo in un poema epico: narraronsi miracoli che aveano preceduto e seguito la sua morte, si consultarono oracoli, e un gemito universale si sollevò in teatro a quel verso d’una tragedia di Pacuvio, Io li salvai perchè a me desser morte. Ah! il mondo non prendeasi briga de’ privilegi del senato e de’ lucri dei cavalieri; avea bisogno di pace; Cesare gliela dava, il coltello de’ congiurati gliela rapiva.

Soffiava in quelle faville Marcantonio console, ben lontano dall’esser tocco, come Bruto sperava, dalla generosità con cui gli fu salva la vita. Accordatosi con Emilio Lepido, altro amico di Cesare, e tratta nel Campo Marzio una legione, convocò il senato perchè proferisse se Cesare fosse stato tiranno o legittimo magistrato, e quindi la sua morte liberazione o parricidio. Decisione di gravissime conseguenze, che nel presente scombuglio si trovò prudenza l’eludere col bandire generale amnistia, e nel tempo stesso ratificare quanto Cesare aveva operato. In conseguenza i congiurati, avendo ricevuto ostaggi, scesero dal Campidoglio; Bruto cenò da Lepido, da Marcantonio cenò Cassio, che domandato per celia dall’ospite se non portasse qualche pugnale nascosto, — Ne porto uno (rispose) per chi mirasse alla tirannide». Dovette il motto punger nel vivo Marcantonio che vi aspirava, come v’aspiravano e Lepido e Decimo Bruto, frenati solo da reciproco timore.

Marcantonio fe leggere in pubblico il testamento di Cesare, il quale chiamava eredi Ottaviano, Pinario e Quinto Pedio suoi pronipoti; al

  1. In summo publico luctu, exterarum gentium multitudo circulatim suo quæque more lamentata est, præcipueque Judæi, qui etiam noctibus continuis bustum frequentarunt. Svetonio in Cesare.