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sare una legge agraria; poi andò nelle Gallie a coglier gloria e forza, colla quale opprimere l’aristocrazia.


VIII.


Il consolato di Cicerone fu insigne, se altro ne ricorda la romana storia: ma troppo egli dimenticava quel che di inordinato e di labile ha alla fortuna. Gonfio del togato trionfo, non rifiniva di preconizzarlo, e Catilina, e il minacciato incendio, e gli aguzzati pugnali erano o tema o episodio inevitabile d’ogni suo discorso. — Cedano le armi alla toga! (esclamava egli) O fortunata Roma, me console nata!.. Me Quinto Catulo presidente di quest’Ordine, in pienissimo senato chiamò padre della patria; Lucio Cellio, uom chiarissimo, disse dovermisi una corona civica; il senato mi rese testimonianza non d’aver bene amministrata ma di aver conservata la repubblica, e per ispeciale supplicazione aperse i tempj degli Dei immortali. Quando deposi la magistratura, interrompendomi il tribuno dal dire quel che avevo meditato, e solo permettendomi di giurare, giurai senza esitanza che la repubblica e questa città furono salve per opera di me solo. E il popolo romano tutto in quell’adunanza, dandomi non la congratulazione di un sol giorno ma l’immortalità, un tale e tanto giuramento approvò ad una voce»1.

Sul proprio consolato scrisse commentarj in greco e un poema in tre canti; e sollecitava Lucio Lucejo a voler raccontarlo alla posterità in modo benevolo; ch’egli stesso gliene somministrerà i documenti2. È certamente bello il poter fare questi vanti, e più vo-

  1. In Pisonem.
  2. «Epistola non erubescit. Ardeo cupiditate incredibili, neque, ut ego arbitror reprehendenda, nomen ut nostrum scriptis illustretur et celebretur tuis: quod etsi mihi sæpe ostendis te esse facturum, tamen ignoscas velim huic festinationi meæ... . Non enim me solum commemoratio posteritatis ad spem immortalitatis rapit, sed etiam illa cupiditas, ut vel auctoritate testimonii tui, vel judicio benevolentiæ, vel suavitate ingenii vivi perfruamur.... Nos cupiditas incendit festinationis, ut et ceteri, viventibus nobis, ex literis tuis nos cognoscant, et nos metipsi vivi gloriola nostra perfruamur». Epistolæ ad familiares, V.
    «Res eas gessi, quarum aliquam in tuis literis et nostræ necessitudinis et reipupublicæ causa gratulationem expectavi.... Quæ, cum veneris, tanto consilio tantaque animi magnitudine a me gesta esse cognoses, ut ibi multo majori quam Afri-