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a ciascuno spetti una parte; ma che a un tal dritto sia inerente l’obbligo di coltivarla, e che il campo derelitto, dopo un certo novero di anni, torna novellamente alla universalità degli uomini. Il bue, emblema dei Sanniti, denotava che essi erano agricoltori; e quando si resero potenti e forti posero ogni cura all’esercito, il quale si divideva in coorti, ognuna di 400 uomini (Niebhur, vol. 2 pag. 371). A tutti incombeva l’obbligo di andar soldati in tempo di guerra, e di erudirsi nelle arti della guerra in tempo di pace. Eleggevano nelle guerre un capo militare, sovrano, che appellavasi Embrutur, vocabolo che modificato in Imperator passò ai latini per significare il generale in capo. Così difatti Tito Livio chiama il comandante supremo dei sanniti, e l’assimila a un direttore, o a un pretore latino (Niebhur, storia romana, pag. 84). Lodevolissimi erano presso i Sanniti gli ordini della milizia, per modo che lo stesso Cesare scrisse che i romani aveano appresa gran parte dell’arte della guerra dai Sanniti, la qual cosa credo che si ebbe ad avverare nel tempo della loro alleanza.

Le città sannitiche erano quasi tutte fortificate, e non sarebbe stato possibile espugnarle che dopo lungo e faticoso assedio.

Ma, a certificare quale fosse stata la coltura dei Sanniti in tempi remotissimi, assai rileva il considerare in quanto pregio avessero la donna, poiché soventi volte da ciò più che da altri fatti, è dato desumere il grado di civiltà d’una popolazione.

Le donne sannite, traevano vita laboriosa ed austera (Coco, Platone in Italia) ed erano specialmente abili a lavorare di lana, e a dare ottimo assetto alle faccende domestiche, come afferma lo stesso Orazio. Negli altri popoli antichi la donna era tenuta a vile, e ognuno rammenta il celebre epitaffio sculto a tutta lode sulla lapide sepolcrale d’un’illustre matrona romana: Domi mansit, lanam fecit. Ma tra i Sanniti la donna contribuiva efficacemente alla educazione e prosperità di un paese, e si reputava come il solo giudice competente a conferire ade-