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faccia molto di costui che in occasione unicamente delle feste da lui celebrate. Ma ciò non è verosimile, perchè, quantunque a Vatinio per le sue copiose dovizie non sarebbe riuscito malagevole mandare a fine un tanto edifizio, giacchè Tacito l’agguaglia ai più rapaci liberti, pur tuttavia ci è forza ammettere che gli venisse meno il tempo per compiere l’ingente mole del nostro teatro, tanto più che non pare credibile che avesse acquistata la grazia di Nerone subito che questi ascese all’impero. Ma che Vatinio fosse stato molto facoltoso nel tempo della dimora di Nerone in Benevento, non può essere richiamato in dubbio, poichè era vietato per legge di ordinare la celebrazione dei ludi gladiatorii a coloro che non possedessero quattromila denari di facoltà.

I giuochi celebrati da Vatinio si ridussero a tre soli, e furono i giuochi gladiatorii, il corso delle carrette, e i giuochi quinquennali. Non farò menzione dei giuochi gladiatorii, per non ripetere cose a tutti note, e solo mi fo ad accennare gli altri.

Palmares chiamavansi i giuochi, ovvero corsi delle quadrighe o carrette, in cui donavasi ai vincitori per premio un ramo di palma. E un tal gioco dava assai nel genio a Nerone, come si ha da Svetonio, il quale, dello studio che Nerone poneva non solo nel sonare la cetra, ma anche nel mostrarsi auriga eccellente, scrivea: Neque dissimulabat velle palmarum numerum ampliare…. I detti giuochi si dissero anche Olimpici, e ad essi allude Virgilio in alcuni versi che si leggono nel terzo libro delle Georgiche, e Orazio in un’ode del libro primo.

E infine alcuni scrittori affermano che tali giuochi fossero appellati anche Eupleari dal nome di Euplea, moglie di Vatinio.

I giuochi quinquennali, inventati dai greci, furono introdotti da Nerone in Roma nell’anno settimo del suo impero; e a tali giuochi conveniva sempre il fiore della gioventù che pigliava indicibile diletto nell’armeggiare, nei salto e nella danza, cercando di avanzare altrui in destrezza ed agilità.