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Il mobilio presso i Romeni non offre che ben poche occasioni alla ornamentazione. Sulla lavița di cui si è già parlato, a un tempo letto e sedia, si accumulano fino al soffitto delle «scorze», delle «paretare», che ho trovate in liste dotali dell’antico regime, dei tappeti, delle camicie, la dote insieme dell’ava, della madre, delle figlie.

Il soffitto, tavan o bagdadie (due termini turchi e di origine assai recente; prima pare che si dicesse ceriu, cielo, come nella casetta del pastore), può esser coperto da un intonaco suscettibile di assumere forme derivate evidentemente da quelle che si vedono nelle chiese (come l’aquila bicipite che ricorda Bisanzio, e in Valacchia la famiglia regnante dei Cantacuzeni, d’origine costantinopolitana). Ma più spesso, nelle case dei contadini presenta dei travi sporgenti separati da tavole rientranti, che offrono un motivo alla decorazione, come avviene di tutto quanto forma una parte in rilievo della costruzione.

La tavola piccola, rotonda, con tre piedi corti, cinie, serve unicamente ai pasti della famiglia, e non è mai decorata. Vi si siede attorno su semplici sgabelli a tre piedi che partono da uno stesso punto, di lavoro comune. Essi continuano la tradizione dello scamnum romano, di cui si è conservato il nome: scaun, con molti derivati (scăunel, scăuieș, derivazione semasiologica: Scaunul Domniei, la sede del principato). Sebbene la lavița faccia le veci di letto, esiste ancora, specialmente nelle case di montagna, dove occupa le parti laterali del balcone, il letto separato, il cui nome attuale, pat, fu ricondotto al bizantino «patos» (1), ma che dapprima si chiamava strat, da stratum (il senso si è conservato nello

  1. V. Bogrea propone l’etimologia pavatum; cfr. il doppio signi écato di strat.