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sempre quella degli artisti del Ponto superiore greco, i tipi: animali selvaggi, scene di caccia, lotte, vengono senza dubbio da quel mondo dell’estremo Oriente asiatico, col quale confinava a est il dominio degli Sciti e dei Sarmati.

Quest’arte dell'Oriente lontanissimo, o anche solo dell’Asia centrale, soggetta agli stessi impulsi provenienti dai mari cinesi, penetrò parecchie volte in Europa, per vie diverse, ma sempre con lo stesso carattere di ricchezza abbagliante, di confusione dei mezzi più vari, di squilibrio da un lato, e dall’altro di ardore ad afferrare la natura stessa nelle sue linee permanenti o nei suoi aspetti più mutevoli, più fuggitivi.

L’arte «bizantina», venuta da Alessandria non meno che da Antiochia, dalle profondità della Sogdiana e della Battriana, dalla lontana Persia di Alessandro il Grande, fu una delle forme di queste influenze orientali. Le genti del Danubio, dei Balcani, del Pindo, del Rodope, della Morea, non andarono a prendere lezioni di gusto a Costantinopoli. Ma basta constatare i risultati ottenuti in fatto di monete da scavi occasionali per rendersi conto che per secoli e secoli, senza interruzione, mercanti «bizantini», greco-orientali, greci, slavo-greci, traversarono la penisola e i suoi annessi settentrionali, offrendo merci di fabbricazione «urbana» in massa, secondo tipi invariabili, negli «emporia» di frontiera e nelle fiere dell’interno. Quanto Arturo Haberlandt presenta nel suo libro su «l’Arte popolare della penisola balcanica» (1) come appartenente più o meno alla fabbricazione contadinesca in fatto di orecchini, frontali, parietali, spille, collane, fibbie da cintura, braccialetti, anelli, in Dalmazia, nella Bosnia-Erzegovina, e fors’anche fino agli Uzuli, pastori dei Carpazi settentrionali, galiziani, e ai Ruteni, — appartiene tutto e solo a questo contingente straniero, di una forma sconosciuta nella lunga vita storica popolare di quelle regioni, ed anche, fino a

  1. Haberlandt, Volhskitnst der Baikanländer, Vienna (1919).