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60 capitolo iv


dimanda, considerando il «favor che ’l dicto signor puoi conferir ale cosse christiane contra el Turcho». Anche i Fiorentini ricevettero l’ambasciata moldava. Il baccalauro Pietro, che pare sia stato un’Italiano, parlava in nome dei suoi colleghi rumeni. Sisto IV lo fece «vescovo della chiesa moldava», con residenza in Moncastro, dove erano due chiese cattoliche. Ma per Stefano non si potè ottener nient’altro che «parole» («verba»): gli si dava soltanto la speranza di mandargli qualche cosa della seconda colletta di decime e vigesime che si sarebbe fatta tra i cristiani d’Occidente. Arrivati a Venezia, gli ambasciatori affermarono energicamente che il loro mandante «non era sottomesso in niente al rè di Ungheria, ma era padrone della provincia e delle genti sue» («Stephanum predictum regi Hungarie in nullo esse suppositum, sed dominimi provincie et gentium suarum»). Il legato apostolico pretendava nondimeno tutta la contribuzione pel rè Mattiate la ottenne. Un segretario veneziano, Emanuele Gerardo, fu mandato dal Senato per osservar lui stesso lo stato, delle cose di Moldavia. Doveva parlar a Stefano della sua «gloriosa e magnanima vittoria» e promettergli un costante appoggio; si doveva cercar anche il mezzo di trattar per mezzo suo coi Tartari, dato che si credeva ancora nella loro disposizione di aiutar i cristiani contro i Turchi e di ricuperar Caffa e Tana: Venezia sollecitava il loro aiuto in favore di Stefano, che i Tartari dovevano aggredire