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— Spiegatevi! — Aveva gettato fango e veleno su Eugenia! Eugenia! — Spiegatevi!

Egli mi guardava fisso: — Voglio dire che il codice non contempla il caso dell’amante della madre che sposa la figliola.

La mia destra sfiorò la guancia del miserabile. D’un balzo egli si era sottratto da un lato. Si ritrasse verso la porta laterale e toccò il bottone d’un campanello. Fu un attimo. Contro di lui urlavo:

— Vigliacco! Calunniatore infame! — Ma già un servo o un portiere che fosse, evidentemente in attesa mi tratteneva. — Vigliacco! — urlavo. — I sicari! Hai sicari in agguato! — e tentavo divincolarmi, rivolto a lui.

Immoto, su la soglia, Roveni mi guardava; pareva attendere che mi quietassi per parlare. Stretto da quell’altro io gridavo sempre più forte:

— Vile! vile! Calunniatore di donne! falsario!

E mi dibattevo.

— Insultatemi impunemente! — Roveni potè dire alla fine. — Non mi batterò; non voglio mandarvi una palla nello stomaco! Dovete vivere! Devi vivere! — Mi par di sentirlo ripetere «devi vivere!»

E agitando la destra, quasi a farmi grazia, e volgendomi le spalle, nel rinchiudere la porta dietro di sè, mormorò non so che di «vendetta».

— Fuori! fuori! — ripeteva intanto quell’altro, che mi spingeva verso l’altra porta. Io gridavo ancora: — Vigliacco!