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Non vorrei che l’arida enumerazione avesse stancato il lettore; se ciò non è avvenuto e se la topografia dei luoghi fu resa con una certa evidenza, chi mi ha seguito fin qua ascolti un consiglio, che oserei dire d’amico.

S’accontenti della piccola idea acquistata leggendo, risparmi la fatica di una malagevole strada, che, per quanto offra dei punti di vista maravigliosi, non lo compensa in ultimo con un panorama adeguato al sudore, al caldo, al freddo patito salendo.

Rimanga, se è possibile, comodamente sdraiato nella sua poltrona, magari con uno zigaro profumato in bocca, e lasci ad altri la cura di informarlo, di commuoverlo, e forse forse d’annoiarlo.

Però, se sente un pochettino solo l’entusiasmo e la poesia della montagna, salga a Felleria nel tempo della pastura, e, verso il tramonto, quando l’ultimo sole fa rosseggiare le cime e dà una penombra violacea alla valle, rendendola più lontana e più poetica, sentirà il concento indescrivibile delle campanule vaganti avvicinarsi mano mano, e nell’anima sua si formerà un altro concento di ricordi, di dolcezze, di estasi: l’orrore delle rocce, la freddezza dei ghiacci, saranno mitigati, raddolciti anzi dalla penombra, e in essa, melodiosa come una sinfonia non udita mai, si effonderà, con languore dolcissimo, la musica tinnula delle campanelle, triste e cara, forse perchè è l’ora in cui volge il desio e s’inteneriscono i cuori.