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Io parto, egli rimane!

Come si è osservatori nei momenti tristi della vita!

Le rose muschiate rimangono sul loro stelo tremante: lascio il giardino e risalgo melanconico, nè vale a farmi sorridere il famigliare colpo sulla spalla battutomi dalla mano callosa del vecchio Sass.

È proprio arrivato il momento in cui tutte le cose hanno un loro ricordo spiccato, tutte le persone un lato buono e caro; in cui, attraverso il velo leggero di pianto che adombra le mie pupille, scorgo in ogni cosa, in ogni persona, un atteggiamento doloroso, un gesto scorato, una voce di rimpianto fioca e triste.

Sì, anche quelli che mi circondano facendo più grossa nei saluti, negli auguri, negli addii la voce che altrimenti tremerebbe, anche quelli che ridono, che mi accomodano le valigie sulla carrozza, che mi spingono perchè vi prenda posto súbito e parta, che si fìngono allegri perchè non mi sentiranno più gridare in cadenza i miei versi e sbraitare romanze, si anche quelli fanno uno sforzo evidente per vincere una tristezza che li ha presi, forse loro malgrado. Ci stringiamo forte la mano e... addio...

Il Fiach schiocca la frusta violentemente, il cavallo dà un balzo innanzi e corre via serrato trascinandoci con lui: fermi a mezzo della strada in atteggiamento diverso di saluto e di rimpianto, vedo il curato, il canonico, Gian Paolo con la sua bottiglia di vermuth nelle mani, la Ninì esile