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Il povero canonico, rimasto a gola asciutta, si vendica alla prima polla freschissima e beve da scoppiare; il curato prosegue imperterrito, appoggiandosi al bastone, rimettendosi in bocca e riaccendendo la pipa.

E giù sempre, sotto il verde cupo, accompagnati dagli ùluli dello Scerscen, corrente nel fondo fra due rupi scoscese, giù sempre, finchè s’arriva al ponte, si passa e ci si trova dinnanzi una grande spianata sabbiosa. Campaccio, in cui lo Scerscen ed altri torrenti lingueggiano bianchi, trasportando sassi, che si odono rotolare negli alvei, e si vedono talvolta sporgersi neri e sparire.

Campaccio è così fatto: un corso d’acqua, una punta di terra, altro braccio del fiume, un’isoletta, un nuovo canale, un terzo o quarto margine; fino ai piedi dell’alpe Musella, in cima alla quale noi abbiam deciso di passare la notte.

Un po’ di stanchezza incomincia a toglierci lena; si riposa ai piedi dell’Alpe e si riguarda Campaccio, bello in mezzo al correre delle sue acque per i suoi lidi sassosi, e bello specialmente per i rilievi di terreno verdeggianti, dove, a branchi, si disperdono e brucano le capre snelle e dove, qua e là, placidamente, si sdraiano le vacche muggendo.

Dal luogo dove noi ci siamo fermati a riposare Campacelo, con le sue praterie, le bestie, le baite, gl’émpiti dell’acqua e il distendersi grigio dei sassi, presenta un colpo d’occhio pittorico straordinario; anche lo sfondo dei monti verdi