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dagli Orsenigo. 77

Ohè! veggano, io scrivo benedire, per antifrasi, ma Maurizio adoperò tutt’altro un verbo! L’infinito del participio, che non m’è bastato, testè, l’animo di scrivere! E, buttando via, dispettoso, il sigaro, (che gli s’era spento, mentre cinguettava con la Salmojraghi; e che non gli riusciva di riaccendere, per quanti fulminanti adoperasse, perchè, invece di aspirare il fumo, mordacchiava, amaramente, il mozzicone), entrò da un tabaccajo, per rifornirsene. Altra miseria! Non aveva bronzo; ed il più piccolo biglietto suo era una delle marche-da-bollo da quindici lire, che ebber corso forzoso, in quel tempo. Il rivenditore si negò a cambiarlo per un sigaro ed, anche, per cinque; ed il cambiò solo, mormorando, quando Maurizio si rassegnò a prendere un cinque lire di trabucos.

Nuova cagione, questa, d’indispettirsi; e di proseguire il soliloquio, anche più rabbiosamente di prima, esordendo, col solito participio (stavolta, al superlativo): — «...issimo paese! Dicono: a Napoli, c’è la camorra. E qua, domando io, cosa c’è? Peggio. Anch’esse, le femmine, se ne immischiano. Chi la pregava questa, come si chiama? questa madama Salamoja-ed-aghi, di venirmi a metter su l’Almerinda? Matta, sempre, co’ suoi scrupoli, quella lì era. Ma, con tutti gli scrupoli, me la godrei,