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anzi presso la donna, che sedeva sul canapè, dirimpetto, o sulla poltrona, nella stanza contigua; non alla perdita: perduta lei, che importava ogni altra cosa? non al guadagno: qual primiera poteva ridargliela? qual somma vinta poteva ricomperargliene lo affetto?

È naturale, dunque, che affascinasse la Salmojraghi; e che questa giudicasse la sventura, la demenza, il tumulto delle passioni, la piaga insanabile di Maurizio, non solo più nobile e felice della pace, riacquistata dalla signora Ruglia, ma, pur anco, della prospera e lieta sorte, goduta, sino allora, da lei stessa. Fra quel sorriso snervante della fortuna e quelle lagrime disperate con l’apparente tranquillità, che la nascondeva al volgo, qual era meglio? Fra l’Inferno ed il Paradiso dantesco, c’è da esitare? Non per la Salmojraghi! La sofferenza le apparve cosa desiderabile; la colpa o ciò, che, fino allora, aveva chiamato con questo nome, quasi, uno stato di grazia, moralmente superiore alla inerte e sterile innocenza. Avete, mai, visto in uno sperimento chimico, ravvicinare due sali, la base di ciascuno de’ quali abbia maggiore affinità con l’acido dell’altra, che non col proprio? si decompongono e, contemporaneamente, ecco costituiti due corpi, diversi da’ primi. Come avviene, che la pietra infernale ed il sal comune, ravvicinati,