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capitolo decimoquarto. 83

servazioncella che avesse faccia d’una disfida, egli sorrideva, crollava il capo e non diceva parola; perchè io comprendeva che s’egli avesse voluto, poteva rispondermi per le rime. Passo passo il ragionamento si allontanò dal subbietto, e lasciate le antichità, si venne a dire qual cagione ci avesse menati al mercato. Lo informai del cavallo ch’io voleva vendere; ed egli appunto s’era recato alla fiera non per altro che per comperarne uno da dare al suo fittaiuolo: venne offerto il mio; e dàlle dàlle dàlle, strignemmo il contratto. Non restava che di pagarmi; egli impertanto trasse di tasca una cedola di trenta lire pregando ch’io gliene rendessi il di più; ma era un voler cavare dalla rapa sangue. Laonde commise all’ostessa di chiamare il di lui servo; e quegli fece il suo ingresso vestito a livrea magnificentissima. “Vanne, Abramo, fa’ cambio di questa polizza qui a casa Jackson o dove che sia, e riportami tant’oro.”

Partito quel donzello, il vecchio recitò un’orazione patetica sulla somma carestia che vi aveva d’argento; ed io gli feci eco deplorando altresì la gran penuria d’oro, cosicchè al ritornare di Abramo s’era per entrambi noi convenuto non v’essere mai stato tempo in cui li danari costassero tanto sudore come all’età nostra. Abramo raccontò d’aver cercato a destra e a manca tutto il mercato, nè riuscirgli l’intento ad onta dell’aggio d’un mezzo scudo offerto pel baratto. Tutto andava a traverso; ma il vecchio, stato alquanto sovra pensieri, mi domandò s’io conoscessi tra’ miei vicini un Salomone Flamborough; e rispondendogli io che sì, perchè abitava accanto al mio uscio, soggiunse: Poffare il mondo! la è bell’e accomodata. Vi darò una lettera di cambio ch’egli vi pagherà a prima vista; e sappiate che per cinque miglia all’intorno non v’è galantuomo più puntuale del signor Salomone. Egli è un buon pezzo che io lo conosco: e’ mi ricorda ch’io vinceva sempre a piè pari; ma sur un piè solo egli saltava più lontano di me. “Una cambiale sovra il mio