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tagliò di netto il braccio al povero nano. Egli allora era a mal partito; ma, giunto il gigante in suo soccorso, in poco tempo quei stese freddi sul terreno li due Saraceni; e il nano, per ira, spiccò il capo dall’imbusto del suo nimico già morto. S’avviarono poscia ad altre imprese: ed eccoti tre satiri, sitibondi di sangue, rapire a forza una infelice pulzella. Il nano non era più tanto feroce; nondimeno colpeggiò per il primo, e n’ebbe una in compenso sì crudele, che gli cacciò fuori un occhio. Ma il gigante superò tosto que’ satiri; e se coloro non si mettevano la via tra le gambe, ei uccidevali tutti l’un dopo l’altro. Lieti oltremodo dell’ottenuta vittoria, condussero seco la giovinetta riscattata, la quale s’innamorò del gigante e lo sposò. Viaggiarono più ch’io non so dire; e diedono finalmente in una masnada di malandrini, al primo incontrarsi coi quali, il gigante era innanzi, e il nano gli venía dietro alcuni passi discosto. La zuffa fu vigorosa ed ostinata; ovunque giungesse il gigante, ogni cosa andava sossopra; ma più d’una volta il povero nano da morte a mala pena scampò. La fortuna arrise ultimamente ai due, e ne uscirono vincitori; ma il nano vi lasciò una gamba. A lui che oramai perduto aveva un braccio, un occhio e una gamba, gridò il gigante intatto d’ogni menoma ferita: — Vieni, eroe piccino; queste le sono gloriose imprese; tentiamo d’ottenere un’altra vittoria, e saremo onorati in eterno. — No no, disse il nano fatto ora più savio; giuro di non voler altro combattere, perchè n’è tutta tua la gloria e la ricompensa, e toccano a me solo, poveretto, le percosse e lo strazio.”

Io stava per ridurre a moralità questa favola, quando la mente fu distratta da una calda contesa insorta tra mia moglie e il signor Burchell, intorno al mandare alla città le fanciulle. Magnificava Debora l’utilità che ne verrebbe; per lo contrario, Burchell la dissuadeva a più potere da quel proposito, ed io me ne rimaneva cheto, senza voler parteggiare per alcuno. I di lui argomenti non sem-