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70 il vicario di wakefield.


CAPITOLO DECIMOSECONDO.


La fortuna sembra decisa di voler umiliare la famiglia di Wakefield. Le mortificazioni, non di rado, riescon più amare delle disgrazie reali.

Tornati noi a casa, la notte fu spesa in mettere in campo astuzie per future conquiste. Debora mia operò tutta la di lei sagacità in vedere a quale delle due figliuole convenisse la carica migliore, ove saria più grande l’opportunità di conversare con persone di garbo. L’unico ostacolo che attraversasse il nostro ingrandimento, era l’ottenere la raccomandazione dello scudiero; ma egli ci aveva già dati troppi segni d’amicizia, sicchè il dubitarne era omai vano. Neppure in letto mia moglie cessava dal rifriggere questi cavoli. “Orsù, Carlo mio, diciamolo tra di noi; non ti par egli che si sia tratto per noi bel profitto da questa giornata?” — “Maisì,” risposi io, non sapendo che dire. “E come? tu non mi sbadigli che un maisì? Dico che dessa fu impiegata benissimo. Supponi che le fanciulle giungessero a contrarre amicizie ragguardevoli in città, non ti piacerebbe egli forse? E non so io di certo che Londra è un vivaio d’ogni sorta di mariti? In oltre sai bene che de’ miracoli se ne veggono ogni dì: e se gentildonne di sì alto affare s’innamorarono delle mie zitelle, che non faranno i cavalieri? Siamo a quattr’occhi, e ti protesto che ho della stima molta per madama Blarney che è tanto compita; tuttavolta madamigella Carolina Guglielmina Amalia Skeggs mi ruba il cuore. Hai veduto com’io le ho còlte a volo quando si parlò d’impieghi in città? E ti basterà l’animo di dire che io non sappia far di tutto per la mia famiglia?”

“Sì, sì,” diss’io, senza essere determinato ad alcun pensiero; “Dio ’l voglia ch’elle vadan col meglio di qui a tre mesi!” Questo era un mio solito modo di dire col