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capitolo nono. 57

con tal leggiadria e tanta vivacità, che mia moglie non potè contenersi di far tralucere l’orgoglio ch’ella ne sentiva in cuore col dirmi che la tristarella le aveva rubati tutti i passi, e che li faceva più netti di lei. Le gentildonne di città tentavano a tutta possa di gareggiarla, trinciando capriole, ritte ritte sulla persona tenendosi, e si volgendo leziose e languidette; ma tutto in vano: e per verità i circostanti esclamavano che la era una maraviglia; e Flamborough giurava che il piede di Olivia andava a battuta che nulla più.

Posciachè quel ballo fu proseguito oltre un’ora intera, temendo le due gentildonne di infreddarsi, l’interruppero. L’una di esse mi parve manifestasse allora la bassezza dell’anima sua da grossolana educazione invilita, dicendo: “Per Cristo vivo! son tutta molle di sudore.” All’entrare in casa vedemmo imbandita una cena fredda vagamente ordinata e fatta apprestare dal signor Thornhill. Questa volta si andò più riserbati nel conversare; e le due gentildonne offuscarono proprio le mie fanciulle, non ciarlando d’altro che del vivere signorile, di nobiltà, di pitture, di buon gusto, di Shakespeare, di vetri armonici e d’altri cotali argomenti di moda. Gli è vero che una volta o due elle si lasciarono sdrucciolare di bocca alcuna bestemmia di cui sentimmo noi stessi non poca vergogna; ma io credeva che quello fosse il più infallibile contrassegno di loro alta condizione: ora però sono informato che ’l giurare e ’l bestemmiare non è più affatto di moda. Nondimanco i loro ornamenti coprivano di un bel velo ogni magagna del favellare: e le mie figliuole sembravano invidiare la compitezza di quelle fine maniere, attribuendone ogni vizio a fior d’educazione. Campeggiava sovra d’ogni altra dote la condiscendenza nelle due gentildonne; l’una delle quali diceva abbisognare Olivia di conoscere un tantino di mondo; e l’altra che un sol verno in città avrebbe cambiato da capo a piedi Sofia, e fattone un portento. Ad entrambe