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capitolo secondo. 23

famiglia accomodandolo allo stato di lei, sapendo io benissimo che nella povertà l’alterigia è gran disgrazia. “Voi non potete ignorare, figliuoli miei,” dissi loro, “che per nulla nostra prudenza ci era possibile di prevenire la mala ventura piombataci addosso; ma la prudenza può bensì essere più operosa coll’impedire gli effetti di quel danno. Noi siamo ora poverelli, o miei cari, e ci è forza conformarci saviamente all’umiltà di nostra condizione. Via dunque di buona voglia ogni pompa, ogni splendore con cui mille persone sono infelici, e cerchiamo in più bassa fortuna quella pace colla quale ognuno può essere beato. Quanti meschinelli v’hanno che senza i nostri soccorsi vivono la loro vita tranquilla e piacevole! E noi non siamo così imperfetti delle persone da non poter vivere senza che altri ci assista. Amati figliuoli, rinunciamo da questo momento ad ogni ostentazione di nobiltà: chè se abbiamo senno, ancora abbastanza ci resta di che esser felici; e tollerando noi contenti la perdita degli averi, da quella poco danno ne verrà.”

Essendo il mio figliuol maggiore educato alle lettere, feci pensiero di mandarlo alla città onde dall’ingegno traesse sussidio a sè ed a’ suoi. Di tutte le penose circostanze che accompagnano la miseria, forse quella che più arreca dolore è la separazione degli amici e delle famiglie; e il dì ci colse ben tosto in cui per la prima volta dovemmo l’un l’altro disgiungerci. Preso ch’ebbe il mio figliuolo commiato da sua madre e dagli altri che mescevano alle lagrime i baci, venne a chiedermi la benedizione, ed io gliela diedi di tutto cuore, e se ne togli cinque ghinee, ell’era tutto il patrimonio ch’io gli potessi accordare. “Tu te ne vai a piedi,” gli dissi, “o mio buon ragazzo, a Londra, in quella stessa guisa in cui v’andava prima di te il tuo grande antenato Hooker. Ricevi da me l’egual cavalcatura che a lui fu data dal buon vescovo Jewel, questo bastone e questo libro: e l’uno e l’altro ti sarà di conforto nel tuo cammino. Vedi tu queste due righe