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18 il vicario di wakefield.


CAPITOLO SECONDO.


Disgrazie di famiglia. La perdita dei beni pare che solamente accresca l’alterezza del Giusto.


Le faccende temporali della nostra famiglia erano date a maneggiare a mia moglie, ed io presi a dirigere interamente le spirituali. I profitti del mio beneficio che importavano non più di trentacinque lire all’anno, io li cedeva agli orfani ed alle vedove de’ preti della diocesi, perchè avendo discrete fortune mie proprie, poco li curava; e nel segreto dell’animo gioiva di fare il mio dovere senza ricompensa veruna. Io risolvetti inoltre di non tener curato, per poter io conoscere ogni mio parrocchiano, ed esortare i maritati alla temperanza e i celibi al matrimonio: cosicchè in pochi anni si fe proverbio che di tre cose strane era carestia in Wakefield, d’un curato orgoglioso, di giovani senza moglie, e d’osterie frequentate.

Il matrimonio fu sempre uno de’ miei argomenti prediletti, e molti sermoni io scrissi per provarne l’utile e la felicità ma una dottrina particolare io m’ingegnava a tutto potere difendere, sostenendo con Whiston esser cosa illecita ad un sacerdote della Chiesa inglese il passare a seconde nozze; o, per dirla in termini più precisi, io mi pregiava d’essere un rigoroso monogamo.

Fui di buon’ora iniziato in questa disputa importante, intorno alla quale si sono scritti tanti laboriosi volumi. Io stesso ne pubblicai alcuni trattati che non avendo mai gran spaccio, non furono letti che dai felici pochi; e con questo pensiero mi consolo del mal esito vendereccio. Alcuni miei amici mi accusavano di questa mia propensione a quell’argomento, chiamandola il mio lato debole; ma essi non l’avevano, com’io, fatto soggetto di lunghe meditazioni; e più ci pensava, più mi appariva cosa di gran momento. Nello spiegare i miei principii io feci anche un