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CAPITOLO DECIMOSESTO.

La famiglia usa scaltrimenti che sono rintuzzati da altri maggiori.

Quali ch’esser potessero le sensazioni della Sofia, il restante della famiglia si consolò facilmente della lontananza del signor Burchell, mercè la compagnia del nostro padrone, le di cui visite di dì in dì diventavano più frequenti e più lunghe. Quantunque a lui non riuscisse di procacciare alle mie figliuole gli spassi della città come n’avea fatto disegno, volse però ogni cura a supplirvi con quelle picciole ricreazioni che il nostro ritiro concedere poteva. D’ordinario egli veniva la mattina, e intanto ch’io e ’l mio figliuolo eravamo fuori a’ lavori, sedeva in casa colla famiglia, e con sommo diletto di lei le descriveva a parte a parte tutta la città di cui quel sacciuto non ignorava la minima inezia. Egli ripeteva i cinguettamenti più minuti che occorrono sotto l’atmosfera tutta quanta del teatro, e sapeva a mente tutte le arguzie dei begli ingegni molto tempo prima che si vedessero stampate nel calendario. Fra l’un discorso e l’altro egli insegnava alle fanciulle il picchetto, o qualche volta aizzava i ragazzini a giocare a’ pugni per iscaltrirli, com’ei solea dire. Ma la speranza di averlo genero un dì ci chiudeva gli occhi sulle sue imperfezioni tante. La buona moglie mia di vero gli tese mille lacci perchè egli desse nel calappio, o per dirla più gentilmente, usò d’ogni arte per ingrandire i meriti delle figliuole. Se le cialde pel tè erano ghiotte ghiotte e agevoli a sbriciolarsi, già le aveva cotte la Livia; se il vino d’uva spina pareva alquanto polputo, i grappoli gli aveva colti la Livia: i diti di lei davano quel sì bel verde all’insalate; nè si apprestava sanguinaccio, se ella giudiziosa non ne dettava prima la ricetta. Quella povera donna s’ingegnava il meglio ch’ella sapesse; ed ora