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l'anima per le labbra, mentre li occhi rimanevan tristi pur sempre, e come smarriti nella lontananza d’un sogno interiore. Eran veramente li occhi della Notte, così inviluppati d’ombra, quali per una Allegoria avrebbeli forse imaginati il Vinci dopo aver veduta in Milano Lucrezia Crivelli.

E nell’attimo che durò il sorriso, Andrea si sentì solo con lei, in mezzo alla moltitudine. Un orgoglio enorme gli gonfiava il cuore.

Poichè Elena fece l’atto di mettersi l’altro guanto, egli la pregò sommesso:

― No, non quello!

Elena intese; e lasciò nuda la mano.

Una speranza era in lui, di baciarle la mano, prima ch’ella partisse. D’improvviso, gli risorse nello spirito la visione della Fiera di maggio, quando gli uomini le bevevano nel concavo delle palme il vino. Di nuovo, un’acuta gelosia lo punse.

― Ora, andiamo ― ella disse, riprendendogli il braccio.

Finita la sonata, le conversazioni si riannodavano più vive. Il servo annunziò altri tre o quattro nomi, tra cui quello della principessa Issè che entrava con un piccolo passo incerto, vestita all’europea, sorridente dal volto ovale, candida e minuta come la figurina d’un netske. Un movimento di curiosità si propagò pe’l salone.

― Addio, Francesca ― disse Elena, prendendo congedo dall’Ateleta. ― A domani.

― Così presto?

― Mi aspettano in casa Van Huffel. Ho promesso d’andare.