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Ella disse, temendo di venir meno, appoggiandosi alla porta, con un gesto di suprema preghiera:

― Non più... Io muoio.

Rimasero un minuto, l’una di fronte all’altro, senza toccarsi. Pareva che tutto il silenzio della villa gravasse su loro, in quel luogo angusto cinto d’alti muri, simile a una tomba scoperta. Si udiva distinto il gracchiare basso e interrotto dei corvi che si raccoglievano su i tetti del palazzo o traversavano il cielo. Di nuovo, un senso strano di paura occupò il cuore della donna. Ella gittò in alto, alla sommità dei muri, uno sguardo sbigottito. Facendosi forza, disse:

― Ora, possiamo uscire... Potete aprire.

E la sua mano s’incontrò con quella di Andrea sul saliscendi, nella furia incalzante.

E, come ella passò rasente le due colonne di granito, sotto il gelsomino senza fiori, Andrea disse:

― Guarda! Il gelsomino fiorisce.

Ella non si volse, ma sorrise; e il sorriso era assai triste, pieno dell’ombre che metteva in quell’anima il riapparir subitaneo del nome inscritto sul Belvedere. E, mentre ella camminava per il viale misterioso sentendo tutto il suo sangue alterato dal bacio, un’implacabile angoscia le incideva nel cuore quel nome, quel nome!