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― Dunque, addio ― ella soggiunse, porgendogli la mano.

― No; vengo fin su la piazza. Ho il mio legno che m’attende là. Guardate: quella è la mia casa.

E le indicò il palazzo Zuccari, il buen retiro, inondato dal sole, che dava imagine d’una strana serra diventata opaca e bruna pel tempo.

Donna Maria guardò.

― Ora che la conoscete, non verrete qualche volta... in ispirito?

― In ispirito, sempre.

― Prima di sabato sera non vi rivedrò?

― Difficilmente.

Si salutarono. Ella, con Delfina, si mise pel viale arborato. Egli montò nel suo legno e s’allontanò per la via Gregoriana.

Giunse dalla Ferentino con qualche minuto di ritardo. Si scusò. Elena era là col marito.

La colazione fu servita in un’allegra sala tappezzata d’arazzi della fabbrica barberina rappresentanti Bambocciate su lo stile di Pietro Loar. Fra quel bel Seicento grottesco incominciò a scintillare e a scoppiettare un fuoco di maldicenza meraviglioso. Tutt’e tre le dame avevano lo spirito gaio e pronto. Barbarella Viti rideva del suo forte riso maschile, arrovesciando un po’ indietro la bella testa efebica; e i suoi occhi neri s’incontravano e si mescevano troppe volte con i verdi occhi della principessa. Elena motteggiava con una straordinaria vivacità; e sembrava ad Andrea così discosta, così estranea, così incurante ch’egli quasi dubitò ― Ma jersera fu un sogno? ―