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21 settembre. ― Ahimè, bisogna pur sempre ricominciar l’opera dura, risalire l’erta già salita, riconquistare il suolo già conquistato ricombattere la battaglia già vinta!

22 settembre. ― Egli mi ha donato un suo libro di poesia, La Favola d’Ermafrodito, il ventunesimo dei venticinque soli esemplari, tirato su pergamena, con due prove del frontispizio avanti lettera.

È una singolare opera, ove si chiude un senso misterioso e profondo, sebbene l’elemento musicale prevalga trascinando lo spirito in una magia inaudita di suoni e avvolgendo i pensieri; che splendono come una polvere d’oro e di diamante in un fiume limpido.

I cori dei Centauri, delle Sirene e delle Sfingi dánno un turbamento indefinibile, svegliano nell’orecchio e nell’anima una inquietudine e una curiosità non appagate, prodotte dal continuo contrasto d’un sentimento duplice, d’una aspirazione duplice, della natura umana e della natura bestiale. Ma con qual purezza, e come visibile, l’ideal forma dell’Androgine si delinea tra gli agitati cori dei mostri! Nessuna musica mi ha inebriata come questo poema e nessuna statua mi ha data della bellezza un’impressione più armonica. Certi versi mi perseguitano senza tregua e mi perseguiteranno per lunghissimo tempo, forse; tanto sono intensi.

Egli mi conquista l’intelletto e l’anima, ogni giorno più, ogni ora più, senza tregua, contro la mia volontà, contro la mia resistenza. Le