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s’abbandonava alle lacrime, cercava di penetrare gli enigmi del suo cuore, interrogava la sua conscienza, riprendeva coraggio dalla preghiera, si ritemprava nella meditazione, allontanava da sè ogni debolezza ed ogni vana imagine, metteva il suo spirito nelle mani del Signore. E tutte le pagine splendevano d’una comune luce, ossia di Verità.

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15 settembre 1886 (Schifonoja). ― Come mi sento stanca! Il viaggio mi ha un poco affaticata e quest’aria nuova del mare e della campagna m’ha un poco stordita. Ho bisogno di riposo; e già mi par di pregustare la bontà del sonno e la dolcezza del risveglio di domani. Mi sveglierò in una casa amica, nella cordiale ospitalità di Francesca, in questa Schifanoja che ha rose così belle e cipressi così grandi; e mi sveglierò avendo innanzi a me qualche settimana di pace, venti giorni d’esistenza spirituale, forse più. Sono molto riconoscente a Francesca, dell’invito. Rivedendola, ho riveduta una sorella. Quante mutazioni in me, e quanto profonde, dai belli anni fiorentini!

Francesca, a proposito de’ miei capelli, ricordava oggi le passioni e le malinconie di quel tempo, e Carlotta Fiordelise, e Gabriella Vanni, e tutta quella storia lontana che ora non mi par vissuta ma letta in un vecchio libro obliato o vista in sogno. I capelli non son caduti, ma son cadute da me ben altre cose più vive. Tanti capelli nel mio capo, tante spighe di dolore nel mio destino.