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di una incognita e anche questa volta io sarei... l’auspice involontaria.

― Ohibò.

― Ma il caso è diverso, ossia è diverso il personaggio del possibile dramma.

― Cioè?

― Maria è una turris eburnea.

― Io sono ora un vas spirituale.

― Guarda! Dimenticavo che tu hai finalmente trovato la Verità e la Via. “L’anima ride li amor suoi lontani...„

― Tu citi i miei versi?

― Li so a memoria.

― Che amabilità!

― Del resto, caro cugino, quell’“assai bianca donna„ con l’Ostia in mano m’è sospetta. M’ha tutta l’aria d’una forma fittizia, d’una stola senza corpo, che sia alla mercede di quella qualunque anima d’angelo o di demonio intenzionata d’entrarci, di amministrarti la comunione e di farti “il gesto che consente„.

― Sacrilegio! Sacrilegio!

― Bada a te e fa ben la guardia alla stola e fa molti esorcismi... Ricasco nelle profezie! Proprio, le profezie sono una delle mie debolezze.

― Siamo giunti, cugina.

Ridevano ambedue. Entravano nella stazione, mancando pochi minuti all’arrivo del treno. Il dodicenne Ferdinando, un fanciullo malaticcio, portava un mazzo di rose per offerirlo a Donna Maria. Andrea, dopo quel dialogo, si sentiva allegro, leggero, vivacissimo, quasi che d’un tratto fosse rientrato nella primiera vita di frivolezza e di fatuità: era una sensazione inesplicabile. Gli