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un’attitudine o uno sguardo per avere un sicuro indizio, mentre gli amanti, o coloro che son per divenire tali, non sospettano. Inoltre, ci sono in ogni società alcuni curiosi che fan professione di scoprire e che vanno su le vestigia degli amori altrui con non minor perseveranza de’ segugi in traccia di selvaggina. Essi sono sempre vigili e non pajono; colgono infallibilmente una parola mormorata, un sorriso tenue, un piccolo sussulto, un lieve rossore, un baleno d’occhi; ne’ balli, nelle grandi feste, dove sono più probabili le imprudenze, girano di continuo, sanno insinuarsi nel più fitto, con un’arte straordinaria, come nelle moltitudini i borsajuoli; e l’orecchio è teso, a rapire un frammento di dialogo, l’occhio è pronto dietro il luccicor della lente, a notare una stretta, una languidezza, un fremito, la pression nervosa d’una mano feminea su la spalla d’un danzatore.

Un terribile segugio era, per esempio, Don Filippo del Monte, il commensale della marchesa d’Ateleta. Ma, in verità, Elena Muti non si preoccupava molto delle maldicenze mondane; e in questa sua ultima passione era giunta a temerità quasi folli. Ella copriva ogni ardimento con la sua bellezza, col suo lusso, col suo alto nome; e passava pur sempre inchinata, ammirata, adulata, per quella certa molle tolleranza che è una delle più amabili qualità dell’aristocrazia quirite e che le viene forse appunto dall’abuso della mormorazione.

Or dunque l’avventura aveva, d’un tratto, inalzato Andrea Sperelli, in conspetto delle dame, a un alto grado di potere. Un’aura di favore