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brava sufficiente a concludere una carriera di amatore.

Ho conosciuto un individuo che misurava a migliaia di versi la portata della propria opera poetica, e mi diceva che si sarebbe arrestato non appena ne avesse messi insieme venticinquemila. Questa cifra fu da lui raggiunta in due o tre anni, e da quel momento egli, giudicando compiuta l'opera propria, non ha più scritto un verso, per fortuna sua e nostra.

Franco agiva press'a poco così.

La nausea, la stanchezza fisica e morale, il grigiume uniforme in cui passava le sue giornate e sopratutto le sue notti, l'assenza di ogni delirio, di ogni febbre in ciascuno dei suoi incontri, la certezza di aver visto, desiderato, toccato, baciato tutto ciò che c'era da vedere, desiderare, toccare, baciare, lo convinsero a metter fine alla serie delle sue avventure.

Non voleva più vedere donne, non voleva più occuparsi di loro.

Ma non aveva che ventiquattr'anni. Come riempire la vita, così, senza uno scopo, un'idealità, un lavoro, senza una distrazione? Come uccidere la noia? Di che occuparsi, se, pur non essendo privo di una facile genialità che gli faceva comprendere e apprendere tutto, non si era mai dedicato a nulla?