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sciate dalla forza di Roma lungo le vie consolari.

Franco sognava ad occhi aperti. «A che varrebbe — pensava — il sacrificio di oggi, e di quanta guerra ancora ci resta, se, dopo aver ribaltato il nemico fuor dalle Alpi, dovessimo ricominciare da capo questo livello di vita inferiore, fra le idee mediocri che ci hanno educato, condotti da questi capi indegni? No, no, salvata ai confini, bisogna rifarla di dentro, la nostra Italia.»

Era il sogno febbrile di un generoso combattente, ferito, cui le membra dolenti dessero una visione utopistica e morbosa del futuro? O era lo scenario fatale dell'avvenire d'Italia che si prospettava alla sveglia coscienza di un consapevole, uno dei tanti, uno della moltitudine che dalle trincee, o dagli ospedali, dalla zona del fuoco o dai silenzi di una bianca corsia, anelava ad avere una Patria più grande, più bella, più ordinata, più rispettata, risorta sulle rovine della Vecchia Italia sempre umiliata e avvilita, serva di tutti, spregiata da amici e nemici? Era ora di finirla! e se il sacrificio della guerra, coi suoi morti, i suoi feriti e mutilati, le sue fatiche, i suoi disagi, il suo miracoloso inferno e il suo infinito patire, non avesse dovuto produrre la redenzione di una Patria rifatta e ingrandita nell'anima e nel vol-