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la vita, e insinuò qualche innocente malignità, come questa:

«Immagino che gli eleganti napoletani non saranno indifferenti alla vostra grazia: e il vostro grande amico sarà dimenticato quassù, nel paese leggendario della morte».

Bastò questa frase per provocare una lettera tenerissima di Glorietta:

«Cattivo, cattivo amico! davvero meritereste che io vi dimenticassi, se osate pensarlo. Dunque credete ch'io sia divenuta così frivola e vana, da posporre una cara dolce profonda amicizia a qualche sciocchissima galanteria di bellimbusti «riformati»? Come volete ch'io dimentichi che da voi io ho udito le parole più penetranti, più nuove e commoventi che abbia finora ascoltato? E poi, caro, la vostra lontananza potrebb'essere un'attenuante per una donna obliosa, se voi non vi trovaste, come vi trovate, in un pericolo di ogni ora, di ogni minuto; ciò che vi fa molto molto più vicino al mio cuore che se voi foste qui; ciò che mi dà un'angoscia continua, ossessionante, che mi permette, sì, di fare tante altre cose, ma che tuttavia mi comprime giorno e notte la gola con una mano di ferro...».

Effettivamente Glorietta, attraverso le sue gite in canotto, in auto, a cavallo, non è posseduta che dal pensiero dell'assente. Il suo